Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica italiano e autore di numerosi libri sull’adolescenza (Pietropolli Charmet, 2000; 2004; 2012) ha affrontato il tema dedicato alle speranze e fragilità degli adolescenti di oggi.
Una lectio magistralis organizzata nell’ambito del Progetto Fair Play della Cooperativa Sociale Paim, in collaborazione con la SDS zona Pisana, che è un progetto che si occupa di prevenzione del disagio giovanile, bullismo e cyber bullismo.
Abbiamo scelto il termine “fragile” proprio con l’obiettivo di evitare qualsiasi riferimento a un lessico psicopatologico e criminologico. Fragile ci sembra l’aggettivo più idoneo e pertinente per descrivere sinteticamente l’ambigua situazione in cui si trova a interpretare la crescita il nuovo adolescente: non più sostenuto dall’interno dalla legge morale e dal sentimento del peccato, deve vedersela con le ingiunzioni di ideali interiori a volte molto crudeli, che gli prescrivono di essere bello e prestante, simpatico e comunicativo, famoso e autonomo, tutte caratteristiche queste che appartengono all’area dei valori positivi del narcisismo.In questa prospettiva in particolare, Pietropolli Charmet ha elaborato la nozione di “adulto competente” ed ha spiegato perché, all’interno della sfera affettiva adolescenziale, la speranza sia un affetto particolarmente importante. L’adulto competente, secondo Pietropolli Charmet, è colui il quale riesce a presidiare la speranza, riesce cioè a sostenere e incoraggiare l’adolescente nei momenti critici aiutandolo a orientare o riorientare la sua prospettiva temporale verso il futuro. Charmet infatti non parla solo di adolescenti affetti da particolari disturbi psicologici, ma degli adolescenti che in quanto tali devono affrontare e risolvere molteplici compiti di sviluppo in un contesto storico e sociale caratterizzato da molte incertezze, trasformazioni della famiglia e degli stili educativi, e in particolare della latitanza di una figura paterna forte e autorevole.
Non bisogna guarire dal passato ma dalla perdita del futuro: gli adulti hanno perso il futuro e di conseguenza anche gli adolescenti. La capacità di sperare è la capacità di gestire gli ideali in assenza di una legge morale, in assenza di una percezione nitida del limite, che non è più consigliato. Oggi i ragazzi sono piuttosto confusi su dove sia il limite, rispetto a quale sia il limite, e quando ci si deve fermare generalmente non si fermano.
Dall’osservatorio del consultorio dove il professor Charmet svolge la sua professione, in cui giungono ogni giorno molti ragazzi/e e molte famiglie a chiedere aiuto, si evince che non bisogna avere la presunzione di cercare una guarigione, ma c’è la necessità di aiutarli semplicemente a rendere più chiare le loro idee, ad esprimersi, e ricostruire la loro storia in modo che si possa ri-simbolizzare in modo più pertinente, più raccontabile; certe cose si possono raccontare con un certo orgoglio e, nonostante le ferite, si può trovare il coraggio di rinarrare la propria storia e la propria unicità.
I ragazzi che si rivolgono all’ambulatorio hanno un’età compresa dai 13 ai 18 anni circa, hanno tante difficoltà legate anche all’ambiente in ci vivono, ma possono sicuramente riorganizzare la speranza. La prospettiva su cui lavoriamo, dice Pietropolli Charmet non è quella di curare ma di aiutare a crescere rendendo più competenti i ragazzi ed aiutando il loro papà e la loro mamma a diventare delle risorse anziché rischiare di essere degli ostacoli.I problemi sono davvero tanti. In questa epoca il problema più diffuso forse è proprio l’attacco al corpo: l’epidemia di anoressia, il fenomeno sempre più diffuso degli hikikomori, la bulimia, l’autolesionismo, i tentativi suicidari. Pervade una sorta di vergogna relativa al corpo e questo grosso tentativo di trasformarlo e toglierlo di mezzo come principale responsabile dell’insuccesso e della profonda incapacità di pensare di essere adeguati a vivere. Quando c’è un dolore che va mitigato, che va risolto, va affrontato, va capito e va anche raccontato, va trasformato in parole.
Alla fine della lectio magistralis, dopo un breve dibattito sui temi emersi, la responsabile del Progetto Fair Play dott.ssa Simona Cotroneo, Psicoterapeuta, ha presentato al pubblico un reportage realizzato con alcune scuole del territorio pisano. Il reportage da voce ai ragazzi/e, sono loro i protagonisti, essi raccontano delle attività svolte con il progetto, parlano di bullismo ponendo l’attenzione ad una descrizione del bullo e della vittima entrambi definiti fragili e insicuri, come due facce della stessa medaglia.
Il bullismo è un gioco perverso senza vincitori né vinti, in cui è difficile a volte distinguere tra vittima e carnefice: il carnefice di oggi è stato la vittima di ieri, oppure è vittima in altre aree della vita.