Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’introduzione massiccia di differenti forme di tecnologie, utilizzate costantemente durante la quotidianità da ogni fascia della popolazione e dunque da persone con età distanti. Telefoni, computer e tablet hanno invaso le nostre vite, cambiando alcune delle nostre abitudini.
Un esempio potrebbe essere quello delle relazioni interpersonali; abbiamo giovani con migliaia di amici virtuali, ma sempre più soli nella realtà. Simon Sinek, in una recente intervista sui Millennials, ha dichiarato che: “Abbiamo una generazione che cresce con livelli di autostima più bassi delle altre e questo problema si somma al fatto che crescono in un mondo di social come Facebook ed Instagram, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose. Infatti mostriamo alla gente che la nostra vita è magnifica, anche se in realtà siamo depressi”.
Lavorare sulle emozioni, imparare a gestirle, mostrare le proprie debolezze senza vergogna sono processi su cui soffermarsi per sviluppare al meglio la propria identità; tutto questo dovrebbe essere favorito dalle varie agenzie di socializzazione, partendo dalle famiglie fino a giungere alle scuole di gradi differenti.
La prevenzione gioca un ruolo cruciale in due dimensioni: nella prima ci poniamo l’obiettivo di incrementare le capacità di ognuno, per far sì che si possano contenere gli eventuali fattori di rischio presenti nei vari contesti; la seconda dimensione si occupa invece di impedire l’accentuarsi delle situazioni di disagio già sviluppatesi, in modo tale che non si aggravino nel tempo.
Questo lavoro sulle emozioni nelle classi e, più in generale, nella società potrebbe diminuire l’isolamento e la frustrazione che, spesso, adolescenti e pre-adolescenti possono vivere quando si trovano in situazioni di trascuratezza; la sensazione di non comprensione dei propri problemi da parte degli altri potrebbe portare i ragazzi, come ad esempio abbiamo potuto riscontrare durante il progetto Fair Play, a pensare di essere soli e, non sapendo a chi rivolgersi per chiedere aiuto, ad accrescere in loro un senso di emarginazione. Senza dichiarare l’identità dello studente incontrato dall’équipe del progetto Fair Play, riportiamo quanto detto: “Alle elementari sono stato preso di mira da un gruppo di bambini della mia stessa scuola per il mio aspetto fisico e, per molto tempo, non ho avuto il coraggio di raccontarlo né ai miei genitori e né alle maestre. Fino a quel momento mi sono sentito invisibile poiché nessuno coglieva i miei segnali di richieste di aiuto”.
Questa sensazione di malessere e di solitudine si manifesta quindi maggiormente in quei giovani che vivono situazioni a rischio, come episodi di bullismo e cyberbullismo; varie vittime di tali fenomeni hanno espresso, come il giovane citato antecedentemente, la loro condizione di isolamento sociale parlando di un “senso di invisibilità”, che rende loro più fragili. Questa sensazione di invisibilità deriva da vari fattori come l’esclusione dal gruppo dei pari, una percezione di vergogna e imbarazzo dovuta a ciò che hanno vissuto.
Gli adulti infatti hanno il ruolo di prevenire e cogliere quei segnali che i ragazzi, volontariamente o meno, cercano di inviarci riguardo il loro disagio. Purtroppo non si ha una formula standard per affrontare tali situazioni e da poter applicare con ciascun individuo; proprio per questo necessitiamo di percorsi studiati ad hoc per ogni singolarità. La Cooperativa Paim, con il progetto Fair Play, si pone l’obiettivo di prevenire le problematiche degli studenti del territorio toscano, offrendo loro attività da svolgere con il gruppo-classe per approfondire e sensibilizzarli sulla conoscenza delle proprio emozioni, tra cui anche la solitudine, poiché queste, spesso, sono le cause del bullismo. Inoltre è a disposizione della cittadinanza anche uno sportello di ascolto presso le Officine Garibaldi di Pisa, che permette ai ragazzi e ai genitori di lavorare con professionisti sulle fragilità e sulle problematiche familiari.